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Cinefilia: recensione di "The reader - A voce alta"

Titolo: The reader - A voce alta
Regia: Stephen Daldry
Sceneggiatura: David Hare

Data: 2008
Genere: Storico, Drammatico
Durata: 120 minuti
Interpreti: Kate Winslet: Hanna Schmitz
Ralph Fiennes: Michael Berg
David Kross: Michael Berg da giovane
Bruno Ganz: Prof. Rohl

Trama: Durante il secondo dopoguerra, Michael, appena quindicenne vive una relazione con la misteriosa Hanna, una donna più matura di lui. Quando, anni più tardi, la ritrova imputata in un processo legato all’olocausto, viene a conoscenza di molti segreti sul conto della donna. E il processo si sposta anche al suo stesso animo, facendo emergere tutte le contraddizioni di un’intera epoca…

Di film sul nazismo e sull’olocausto ne è ormai piena la storia del cinema. Alcuni sono diventati dei veri e propri classici, altri sono passati più in sordina, a torto o ragione. Quello che però è ormai chiaro è che, come tutti i generi abusati, anche questo si presta ormai al rientrare troppo spesso in una categoria colma di clichès e luoghi comuni.

Stupisce quindi trovarsi di fronte a un film come The reader – A voce alta, che riesce ad evitare di cadere nella trappola, nonostante scelga la strada più ovvia, ovvero quella della commozione per il tema trattato (e le musiche di Nico Muhly sono lì a ricordarcelo ad ogni scena), laddove il romanzo di Bernard Schlink da cui è tratto, optava invece per un approccio più freddo, sintetico e distaccato. Sembra addirittura che la confezione del film sia l’esatto negativo del romanzo: la prima parte, quella che descrive la relazione fra il protagonista e Hanna, non scade mai in scene erotiche patinate, mostrandocele invece in maniera cruda e diretta, a differenza del romanzo dove tutto ha un’aria da sogno, infiocchettato nel ricordo del protagonista. Lo stesso vale per la parte centrale, il cuore del messaggio stesso del film. Se nella pellicola di Stephen Daldry (lo stesso regista del sopravvalutato “The Hours”) questa parte esplode letteralmente per momenti commoventi lungo tutto lo svolgersi del processo (il momento in cui Michael sente il nome di Hanna, riconoscendola, e quando quest’ultima deve dimostrare la propria innocenza, tramite la prova calligrafica, sono momenti che non possono lasciare indifferenti), al contrario il romanzo di Schlink si faceva freddo e analitico, nello spiegare i vari passaggi del processo (l’autore ha compiuto studi giuridici).

Per il resto, la sceneggiatura si adagia sulla storia del libro, seguendone fedelmente il dipanarsi e i personaggi danno davvero l’impressione di essere usciti direttamente da quelle pagine, con David Kross e Ralph Fiennes funzionali nella parte di Michael, in due periodi della sua vita, e Kate Winslet che ruba la scena a tutti, con un’interpretazione giustamente premiata agli oscar del 2009.


 Ciò che però rende il film originale rispetto a tanti altri suoi predecessori è il tema trattato che non ricade nella solita ottica del nazista-malvagio contro l’ebreo-vittima. Il punto di vista è più ampio e ammette più sfaccettature nella gamma dei personaggi e delle situazioni. L’insegnante di Michael gli, e ci, ricorda che c’è una profonda differenza fra la morale insita in ognuno di noi e la legge condivisa dalla società. Eppure tutti avranno modo di scontrarsi contro questa dolorosa separazione: Hanna che cercava soltanto un lavoro e che finisce per ritrovarsi colpevole, nel meccanismo dell’olocausto; il compagno di studi di Michael, che rappresenta un po’ la generazione di giovani tedeschi, figli di quella che invece appoggiò il nazismo, che vorrebbe sovrastare la legge e fare una pulizia completa (quasi un ulteriore olocausto) degli ex-nasisti; Michael stesso, che da giovane non riesce ad essere lucido durante il processo, non essendo mai certo se aiutare Hanna sia davvero giusto e quanto c’entrino i suoi sentimenti, e da uomo ancora non è in grado di convivere con ciò che ha provato e con il continuo senso di colpa, che è lo stesso di un’intera nazione. Solamente il gesto estremo di Hanna, riuscirà (forse) a dare il via ad una redenzione, che metaforicamente passa per le mani di Michael e della nipote dell’unica sopravvissuta ebrea del campo.

Le polemiche non sono mancate, all’uscita del film. E non tanto per le scene di sesso spinte della prima parte, quanto per l’accusa (abbastanza incomprensibile) da parte di alcuni intellettuali della comunità ebraica, che hanno accusato il film di rendere la figura nazista interpretata da Kate Winslet troppo affascinante, arrivando ad appoggiare un’idea revisionista e negazionista dell’olocausto stesso. Credo che al riguardo basti citare la risposta di Daldry, regista del film: «Mi dispiace, ma ci sono circa 225 film sull’Olocausto. Penso che ci sia spazio anche per il mio.» Lo spazio c’è. E lo occupa davvero in maniera originale.

Curiosità: Durante le riprese, il giovane David Kross non era ancora maggiorenne e dovette girare diverse scene, prima di poter lavorare a quelle erotiche con Kate Winslet, in cui appare completamente nudo, una volta compiuti i diciotto anni. Di nazionalità tedesca, Kross ha anche dovuto studiare approfonditamente l'inglese per poter interpretare il ruolo.     

Buona visione,
Pikko