Max Giovagnoli,

Recensione: Io sono Mia di Max Giovagnoli

marzo 29, 2018 Virgy 0 Comments

Carissime lettrici, oggi vi parliamo di Io sono Mia, un romanzo di Max Giovagnoli uscito oggi, 29 marzo 2018, per Newton Compton.

Titolo: Io sono Mia
Autore: Max Giovagnoli
Editore: Newton Compton
Genere: Narrativa contemporanea
Pagine: 320
Costo: € 5,99 e-book, € 10,00 cartaceo

Trama:
Un romanzo che arriva dritto al cuore
C'è bisogno di coraggio per essere fragili


Mia ha diciotto anni e una brutta cicatrice sul viso. La mattina va a scuola e di sera costruisce scenografie per il Teatro dell’Opera di Roma. Vive a MU, una casa famiglia che somiglia a un sommergibile, ed è abituata a cavarsela da sola. Da sempre. Con le mani riesce a plasmare tutto quello che vuole. Con le compagne e i ragazzi, invece, è una frana. In classe la chiamano “Non” e tutti sanno che non bisogna toccarla… Andrea è stata per anni una delle più spregiudicate produttrici cinematografiche europee. Nessuno ha mai potuto mettersi tra lei e il successo, nemmeno sua figlia. Finché un giorno, un brutto incidente ferma la sua corsa. Le strade di Mia e Andrea si incrociano di nuovo, in modo del tutto inaspettato, in un viaggio che per entrambe è una fuga. Dalla Roma dei Fori imperiali e delle torri di periferia fino alle aurore boreali e ai vulcani addormentati di un piccolo arcipelago al largo dell’Islanda, Mia e Andrea si trovano a vivere – senza volerlo – l’avventura più importante della propria vita. Dopo tanto tempo, finalmente insieme.
La storia di una madre e una figlia, implacabili e fragili, alla ricerca di un riscatto: disposte a tutto, perché non hanno nulla da perdere.

Chi è Max Giovagnoli?
È story architect per le major del cinema e per broadcaster televisivi. I suoi saggi sullo storytelling sono pubblicati in Italia, Inghilterra e USA, dove è stato definito «una delle trenta voci che stanno cambiando il modo di raccontare i ragazzi nei media in tutto il mondo». Dirige la Scuola di Arti Visive dello IED di Roma. Ha collaborato con Festival Letterature, Premio Solinas, Fondazione Bellonci-Premio Strega, Scuola Holden, Romics e Alice nella città. Io sono Mia è il suo quarto romanzo. La Newton Compton ha già pubblicato Il messaggio segreto delle stelle cadenti. Per saperne di più: www.maxgiovagnoli.com

Recensione:
Ho scelto di recensire questo romanzo per tre ragioni: la protagonista incasinata che sta per affacciarsi sul mondo adulto, la promessa di un viaggio di carta verso le terre islandesi e la curiosità di vedere come avrebbe trattato una storia madre/figlia un autore con un curriculum di tutto rispetto come Max Giovagnoli, che tra le altre cose è direttore della Scuola di Arti Visive dello IED di Roma.
Ho cominciato la lettura piena di interesse e sono stata subito inserita nella vicenda, che comincia in una Roma che vi sembrerà di toccare da quanto è sensorialmente ben descritta. Mia e Andrea sono una madre e una figlia che tali non sono mai state l’una per l’altra. Mia ha diciotto anni, una cicatrice sul volto che non sa come si è procurata ed è arrabbiata con il mondo, a piena ragione visto che è cresciuta in una casa famiglia dopo che sua madre ha rinunciato a lei per occuparsi della carriera nello sfavillante e cartonato mondo del cinema.
Una volta al mese Mia ha l’obbligo di incontrare Andrea, sua madre, ex produttrice al vertice della catena alimentare cinematografica e ora con un futuro personale e professionale in caduta libera: non solo, infatti, Andrea ha perso la sua posizione privilegiata sul lavoro, ma a seguito di un incidente scopre di essere affetta da una patologia aortica che la porterà entro brevissimo alla morte, se non trattata chirurgicamente. Ad Andrea non resta che partire per l’Islanda, dove deve vendere una proprietà comprata sull'onda del momento anni prima e classificata come uno dei tanti aneddoti senza importanza che compongono la sua esistenza; i soldi della vendita le serviranno per pagarsi l’intervento e tornare a domare il mondo a mani nude e senza guardare in faccia nessuno.


A causa di alcune circostanze che mettono in pericolo la sua madre affidataria, Mia si trova ad avere bisogno di soldi e, convinta che la madre sia ancora molto abbiente e sia partita solo per un colpo di testa, sceglie di seguirla verso la terra dei ghiacci per riscuotere la somma da lei e salvare la sua “vera” famiglia, sgangherata ma almeno presente quando ne ha avuto bisogno.
Da qui, le due compiranno un lungo e travagliato percorso nell’arcipelago islandese, in un viaggio di formazione che le pone di fronte a dolorose prese di coscienza, che le intimorisce e le fa scappare e poi le fa tornare sui loro passi, più malconce ma cambiate rispetto alla partenza, come ogni buon viaggio sa fare. Mia non ha modo di comunicare con la madre durante la trasferta: niente telefoni, solo una mappa con alcune destinazioni segnate e la speranza di trovarla andando quasi alla cieca, prima che sia troppo tardi.

E adesso eccola lì: sola, spacciata e senza più scelta perché anche nel cinema, come nella vita, i cocci chi li fa li paga.”

Il romanzo si divide in quattro parti e racconta ben quattro punti di vista: Mia è raccontata in prima persona al presente, Andrea in terza al presente e a loro si aggiungono anche le storie Kolbeinn e Thorir, due abitanti dell’isola, cacciatori di balene di frodo, all'inizio totalmente distanti ma poi sempre più legati alla vicenda di Andrea e Mia e alle persone che pian piano le due incrociano durante i loro viaggi paralleli.


Lo ammetto: ho faticato un po’ a entrare nel romanzo. All'inizio non riuscivo a entrare in empatia con i personaggi: Andrea è una donna difficile da tratteggiare, difficile da digerire, difficile da perdonare. Ha compiuto scelte egoistiche, a volte tremende. I suoi pensieri iniziali sono di una freddezza disarmante, tanto che mi è risultato complicato prendermi a cuore le sue sorti. Inizialmente ho percepito come un impiccio anche il punto di vista dei due cacciatori di balene, non comprendevo perché dovessi ascoltare la loro voce quando il mio interesse era concentrato sul rapporto Mia/Andrea.
Per quasi metà libro, mi hanno tenuta dentro la storia due elementi: Mia, la vera perla del romanzo, un piccolo miracolo di donna considerate le condizioni in cui si è trovata a nascere, crescere e sopravvivere. E lo stile dell’autore, profondo, evocativo, particolareggiato nelle descrizioni. Uno stile da vero narratore che dimostra di essere in grado di calarsi in ben due mentalità femminili, di diversa età, e di renderle credibili.
Se ho arrancato nella prima metà del romanzo, scollinando nella seconda metà le cose sono cambiate e la storia ha saputo prendermi anche dal punto di vista emotivo oltre che da quello estetico. A mano a mano che le vicende si infittivano, ho sofferto e agognato con Mia, ho quasi capito Andrea e sono arrivata al culmine nella parte finale, dove lo stomaco si è stretto assieme a quello dei protagonisti, in una sofferenza corale arrivata dritta al cuore. Ho terminato il libro quasi con le lacrime agli occhi e con un pizzico di rammarico perché penso che lo avrei amato tutto e non solo a lettura inoltrata, se ci fosse stata una limatura delle sottotrame di droga, ecoterrorismo e vendetta che ho trovato meno convincenti del resto.
Dopo Mia e Andrea, la terza protagonista del romanzo è lei, l’Islanda. Giovagnoli ce la descrive prendendoci per mano e portandoci di fronte a ogni scorcio. Ci fa vivere i paesaggi, ci fa percepire il freddo, ci mostra le balene sotto la superficie dell’oceano. Il paesaggio è così vivido che sembra di essere negli occhi di Mia e Andrea; si percepisce chiaramente la dimestichezza dell’autore nel trattare la materia visiva, dimostrata in ogni descrizione.
Anche alcuni personaggi secondari sono degni di nota: su tutti Einar per Mia e Jòn per Andrea che, più o meno brevemente, accompagnano le due protagoniste nel rispettivo viaggio offrendo loro nuovi spunti di riflessione.

Quanta solitudine ci vuole per inventare una mole così titanica di storie?

Esistono molte storie che trattano del rapporto genitori/figli, una tematica che più atavica di così non si può, eppure mi sento di dire che Io sono Mia la affronta in modo piuttosto originale. Ho apprezzato che l’autore non abbia svenduto al sentimentalismo la dinamica tra Mia e Andrea: le occasioni non mancavano, invece con il loro rapporto il romanzo imbocca la strada difficile e faticosa, quella più simile alla verità, e ci mostra la durezza delle conseguenze dell’incapacità genitoriale senza alcun velo consolatorio. Andrea non è madre, non si è mai sentita madre, non è mai stata madre. Le sue scelte sbagliate le ha pagate quasi tutte la figlia, quelle che sono rimaste in carico a lei si ripresentano quando la coscienza finalmente buca la sua insensibilità, lasciando entrare il dolore che per anni lei ha negato.


La sua presa di coscienza mi ha finalmente permesso di capire che, nonostante tutto, anche Andrea almeno all'inizio è stata una vittima: vittima del pregiudizio per cui la donna per definizione è madre. Non sempre tenere un bambino concepito per caso è la scelta adatta e lei l’ha pagata cadendo nel baratro più profondo. Diciotto anni per fare chiarezza dentro di sé e risalire non sono pochi, se confrontati con la portata delle conseguenze delle sue azioni.

In conclusione, Io sono Mia è una storia che corre tra finzione e realtà, ideale per chi vuole immergersi in parole dosate con proprietà che ci portano fino al confine del mondo, per poterci ritrovare dentro di noi.

Anna N.
STILE
TRAMA

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