Mary Shelly,

Recensione: Mathilda di Mary Shelley

luglio 19, 2019 Licio 0 Comments

Mathilda
Mary Shelley

Oggi Rose vi parla di Mathilda di Mary Shelley edito dalla Darcy edizione e tradotto da Alessandranna D'Auria.

Titolo: Mathilda
Autore: Mary Shelley
Editore: Darcy Edizioni
Pagine: 140
Traduttore: Alessandranna D’Auria
Costo: 2.99 in ebook e in offerta in preorder a luglio a 0,99€ - 12€ in cartaceo 
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Trama: 
Dopo una serie di tragici lutti, tra cui quello del marito, Mary Shelley scrive il racconto Mathilda, condito da alcuni elementi autobiografici, sfoggiando tutte le sue doti di romantica drammaticità.
Mathilda, sedicenne ricca di nascita ma orfana di madre, abbandonata da un padre che le dà la colpa per la scomparsa dell’amata sposa, è costretta a crescere con una zia avara di sentimenti. Quando il padre decide di tornare da lei, succede qualcosa di inaspettato: la somiglianza della fanciulla con la madre è sorprendente al punto che l’uomo la crede una reincarnazione dell’adorata Diana, così da innamorarsi della figlia. 
Un racconto che è ossessione e passione, sfogo e dolore, lo stesso provato da Mary Shelley in vita. La sua penna sapiente rende immaginario quel che è stata per lei realtà.

Recensione: 
Mathilda è un romanzo semi-autobiografico di Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein.
La scrittrice ha avuto una vita travagliata, costellata da lutti che l’hanno fatta precipitare in diverse occasioni nella depressione.
E proprio in uno di questi periodi, dovuto alla morte del figlioletto William a Roma per malaria, Mary Shelley ha scritto quest’opera.
Per comprenderla appieno, è necessario conoscere alcuni aspetti della vita dell’autrice. Mary Shelley era figlia di Mary Wollestonecraft e William Godwin. La madre era una protofemminista, mentre il padre era un filosofo radicale, uno dei primi teorizzatori anarchici.
Purtroppo, la madre morì pochi giorni dopo la nascita di Mary e la ragazza fu educata dal padre secondo la sua visione filosofica. 
E qui già si può cogliere la prima somiglianza tra Mathilda e Mary. Entrambe hanno perso la madre subito dopo la loro nascita. 
Ma Mathilda, se vogliamo, è ancora più sfortunata di Mary, perché il padre fugge via, distrutto dal dolore, e l’affida a una zia, che la cresce senza affetto.
Pagina dopo pagina, con un linguaggio profondo, intriso di emozioni forti, la Shelley racconta dell’amore tenace tra il padre di Mathilda e la sua adorata Diana, di come si è sentito perso dopo la morte di lei. Di come è stato costretto a fuggire, pur di non rivivere ogni giorno la morte della sua amata sul volto della figlia. 
Racconta le vicissitudini di Mathilda, il modo in cui è cresciuta, l’amore per la natura e per la musica, che la tramutano in una perfetta eroina del periodo romantico.
E poi, nella parte centrale, c’è il colpo di scena: il ritorno del padre dopo sedici anni. Questa ragazzina, cresciuta senza affetti, si attacca a lui, pensando di aver ritrovato il senso vero di una famiglia. Ma la vita spesso è ingiusta. E così l’amore di un padre si tramuta in qualcosa di più: in ossessione. 

Domani sera lo stesso tetto potrebbe non coprirci; lui o io dobbiamo partire. Il legame reciproco dei nostri destini è spezzato; dobbiamo essere divisi da mari, da terre. Le stelle e il sole non devono sorgere nello stesso momento per noi: n on deve dire, guardando la mezzaluna della luna: «Mathilda ora guarda la sua discesa.» No, tutto deve essere cambiato. Sia luce per lui quando è buio per me! Che senta il sole dell’estate mentre sono gelata dalle nevi dell’inverno! Che ci sia la distanza degli antipodi tra noi!

E per non cadere in fallo, l’uomo scappa nuovamente e stavolta l’epilogo sarà terribile.
Quando penso a questa parte, mi metto nei panni del povero Godwin. La figlia, concluso il romanzo, lo diede al padre per sottoporlo a revisione, ma William Godwin, sebbene avesse delle idee radicali riguardo al matrimonio e ad altri aspetti della vita, rimase di sasso. Lo definì “disgustoso e detestabile” e si rifiutò di ridarlo alla figlia, tant’è che venne pubblicato postumo nel 1959. Di certo temeva che i lettori potessero identificarlo con il padre del romanzo e accusarlo delle peggiori atrocità. 
Nell’ultima parte Mathilda finge il suicidio per poter vivere in completa solitudine. Dentro di sé nutre una profonda sofferenza e un forte senso di colpa. Riuscirà in parte a lenire il suo dolore grazie alla compagnia di Woodville, un giovane anch’egli vittima di un lutto.
Ma la morte incombe su di lei e Mathilda, dopo tutti i patimenti accumulati, l’attende quasi con un senso di liberazione.
A differenza delle altre recensioni che ho scritto, qui è stato necessario raccontare qualcosa di più della trama. Questo perché la ricchezza del romanzo non consiste tanto nell’intreccio, ma nella scrittura profonda ed evocativa della Shelley. 
Ho adorato il modo in cui mi ha reso partecipe dei suoi stati emotivi, di come ha tramutato la natura in uno specchio dei suoi sentimenti. Ho trovato tra le pagine l’idea di Sublime, tipica del Romanticismo.
Così dice Schiller:
Solo mediante la rappresentazione della natura sofferente si raggiunge il sublime.
Ed è proprio questa l’abilità maggiore dell’autrice. 

Perciò vi consiglio di leggere questo romanzo senza dare troppo peso alle vicende narrate, ma lasciandovi incantare dal modo “sublime” di Mary Shelley di raccontare ogni più piccolo stato d’animo. Solo così potrete cogliere la grandezza di questa scrittrice.

Rose


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