Recensione

La lettera perduta di Auschwitz di Anna Hellory

novembre 14, 2019 Aurelia 0 Comments

Care cercatrici oggi Aurelia ci parla di La lettera perduta di Auschwitz di Anna Hellory. Edito da Newton Compton.
Titolo: La lettera perduta di Auschwitz 
Autore: Anna Ellory
Editore: Newton Compton Editori 
Genere: Narrativa storica 
Uscita: 31 Ottobre 2019
Una storia d’amore tenuta nascosta per oltre cinquant’anni
Berlino, 1989. Mentre il muro crolla, Miriam Winter si prende cura di suo padre Henryk ormai in punto di morte. Ma rimane sconvolta quando scopre, sotto il cinturino dell’orologio di Henryk, il tatuaggio di Auschwitz, tenuto segreto per molti anni. Come è possibile che le abbia nascosto una parte così terribile della sua vita? E chi è Frieda, il nome che suo padre invoca quando è incosciente? Alla ricerca di indizi sul passato dell’anziano genitore, Miriam trova tra gli oggetti della madre un’uniforme da detenuta del campo femminile di Ravensbrück. Tra le cuciture ci sono decine di lettere destinate a Henryk, scritte da una donna di nome Frieda. Le lettere rivelano l’inquietante verità sulle “ragazze coniglio”, giovani donne vittime di sperimentazioni disumane durante i loro giorni al campo. Attraverso quei racconti di sacrificio e resistenza Miriam scopre, lettera dopo lettera, una storia d’amore che Henryk ha custodito nel cuore per quasi cinquant’anni.

«Il potente debutto di Ellory […] rivela la scomoda verità su queste donne e sulla loro forza, il sacrificio e la resistenza. Vi commuoverà.»
Heat Magazine
«Un romanzo straordinario e toccante che mi ha catturato ed emozionato fino alla fine.»

Mary Chamberlain, autrice di La sarta di Dachau
«Un lato dell’Olocausto di cui si parla raramente. Un’opera di debutto potente che rivela la disturbante verità sulle protagoniste, mettendo in luce la loro forza, il loro sacrificio, la loro capacità di resistenza. Preparate i fazzoletti!»

«Una storia di sofferenze e forza di fronte a terribili avversità.»
«Una grande storia di speranza in tempi bui, di solidarietà e forza contro ogni barriera, di amore che tutto sconfigge e conquista.»
Negli ultimi tempi mi sto appassionando alla storia per ciò che riguarda il dominio di Hitler, ma in modo specifico l'Olocausto. Ci sono tante storie che ci raccontano dell' Olocausto avvenuto in Germania tra il 1933 e 1945 che vide 15- 17 milioni di vittime tra adulti e bambini senza distinzione di età. Oltre gli ebrei furono arrestati e torturati anche popolazioni rom, slavi, dell'Unione Sovietica, della Polonia e altri gruppi dissidenti, oppositori e minoranze indesiderabili, che non erano accettate dalla politica nazista.
 Il romanzo di cui oggi vi parlo mi ha toccata profondamente, fatto versare lacrime, dandomi un senso di inquietudine e angoscia che mi ha accompagnata  anche dopo ore che l'avevo terminato.
La lettera perduta di Auschwitz sono tre storie nella storia.
Era il 1989, il muro di Berlino sta crollando; Miriam torna a casa da suo padre per prendersene cura per il tempo che gli resta da vivere. 

Il mondo intorno a lei sta cambiando: la portata della notizia è enorme, incomprensibile. L’euforia, la gioia…il muro di Berlino è crollato ma per lei ha poca importanza. È un’emozione che non la riguarda. Lei pulisce, accudisce e cambia.

Suo padre Henryk, un professore universitario in pensione, è un vegetale, costretto a letto, gli unici attimi in cui qualcosa si smuove, è quando chiama Frieda. Ma Miriam si chiede chi sia Frieda se sua madre si chiamava Emily. Per caso Miriam scopre sotto l'orologio di suo padre un numero tenuto nascosto dallo stesso orologio, tatuaggio inconfondibile di chi è stato nel campo di concentramento di Auschwitz. Il suo mondo già precario subisce uno scossone. Miriam non riesce a capacitarsi di come questo segreto le sia rimasto cosi a lungo nascosto dai suoi genitori. A questa domanda si aggiunge chi sia Frieda, il nome che suo padre chiama.
Alle domande che si accumulano nella mente di Miriam, subentra la scoperta di una divisa da campo femminile di Ravensbrück. 
Il campo di concentramento di Ravensbruck era il più grande campo di concentramento femminile, oltre al lager femminile faceva parte anche un lager maschile, aree industriali e altri sotto campi utilizzati come serbatoi di manodopera di schiavi, in seguito diventerà la più grande industria tessile che produceva divise per i soldati, ma fu anche la tomba per le tante donne che venivano sfruttate e usate come cavie di laboratorio.
Tra le cuciture, nascoste e mimetizzate, Miriam scopre esserci  tante piccole lettere: lettere di Frieda destinate a Henryk.

Il pensiero dei fogli e del loro contenuto diventa un vortice nella sua testa, passato e presente si fondono in un’unica matassa inestricabile.

Queste lettere, pagina dopo pagina  daranno la possibilità a Miriam di scoprire tante verità nascoste, una delle quali è quella sulle tante donne catturate e spedite nel campo di concentramento di Ravensbrück, cosa erano costrette a vivere e subire, lo scopo a cui servivano, come "le ragazze coniglio" mezzi umani, giovani donne che venivano utilizzate come oggetti per gli sporchi esperimenti del regime. 

Viviamo in una spirale discendente. Non si parla di salvezza, di Alleati o di liberazione. Parliamo solo di casa. Delle nostre vite. Per quanto brevi, vogliamo condividerle con gli altri. Per rifugiarci in una storia d’amore o di eroismo, coraggio e forza. Alla fine, penserò a te e a ogni speranza e possibilità

Leggere con Miriam quelle lettere, è difficile da spiegare quello che ho provato, una grande e grossa testimonianza di orrore e scempio per l'umanità. Atrocità che fanno male al cuore. Un pezzo di storia macabra, cruda, su ciò che il nazismo ha compiuto su donne e bambini senza distizioni, solo perché diversi da ciò che era il loro credo, ma non diversi da loro. C'è dolore in ogni pagina. Henryk inchiodato in un letto in cui tutto il suo corpo è fermo, tranne la mente che pensa  e la bocca che chiama Frieda. 
Frieda che dalla spensieratezza di gioventù è dovuta passare al sacrificio, al combattere, dalla condivisione alla sopravvivenza. Infine Miriam, rinchiusa in una se stessa che non conosce, alle verità mai svelate, al suo vivere ma non  vivere, condizionata da una mente perversa ma debole che forse non è la sua. 

sei una donna. E Dio sa che non c’è niente di più forte di una donna. Ti comporti da codarda, come un uomo, fuggi e ti nascondi come un piccolo», muove l’indice e il medio nell’aria e la luna ne proietta l’ombra, «topo».

La lettera perduta di Auschwitz ci racconta tre vite: un padre, una figlia e una sconosciuta. Ma sono Miriam e Frieda le protagoniste di questo romanzo, due donne accomunate da qualcosa che va oltre il presente e passato. La forza delle donne in questo romanzo è qualcosa di straordinario, il cuore pulsante, quel battito che nonostante le forze stanno per abbandonarle, lui continua imperterrito a battere, per donare quella forza superiore di continuare a combattere nonostante tutto rema contro. 

«Queste persone sono il male… perché nessuno fa niente per fermarle? Non possiamo essere cancellati dalla faccia della terra. Non me ne andrò mai. Preferirei che finissero ora, che mi liquefacessero adesso, piuttosto che torturarmi così»

La lettera perduta di Auschwitz è un romanzo davvero importante, forte, spicchi di storia del periodo, parliamo del 1989 quando il muro veniva abbattuto pezzo dopo pezzo, e del più grande importante periodo storico dell' Olocausto,   delle donne raramente ne ho sentito parlare nei libri; ma leggere (se ciò che è scritto sia testimonianza) ciò che le donne e i bambini nel campo di Ravensbruck accadeva, fa accapponare la pelle e lo stomaco. La durezza e la schiettezza con cui ci viene raccontato questo pezzo di storia è qualcosa di atroce. Spesso mi sono chiesta perché? Perché tutto quell'odio? Perché dovevano sopportare tutto ciò? È poi c'è Miriam, che all'inizio del romanzo non mi faceva entrare in contatto con la se stessa più profonda, lasciandomi in superficie, ma andando avanti ho capito tanto e le ho voluto bene; nel cuore dolcezza e dolore. Per un romanzo ambientato all'epoca, alcuni temi trattati si sono aggiunti alla lunga lista di tristezza che ha suscitato. 
Affermo sempre, che più entri in empatia con i personaggi, più un romanzo si penderà un pezzo di te; così è  stato per La lettera perduta di Auschwitz. 
La scrittura di Anna Ellory ti prende e ti trasporta in mondi paralleli, l'alternanza dalla prima alla terza persona è qualcosa di formidabile; si prende la mente e la rigira come vuole. Questo non credo sia un romanzo per tutti, solo menti abbastanza forti e coraggiose che riescono a sopportare tutto il dolore che queste pagine trasudano.Ti  trasporta all'ultima pagina con un finale davvero inimmaginabile e molto, molto bello.
Complimenti all'autrice

Aurelia

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