Hamartìa di Rossana Soldano
Un romanzo che non si legge soltanto, si attraversa.
Ci sono romanzi che accarezzano l’anima, e poi ci sono quelli che la scuotono. Che ci entrano dentro in punta di piedi, con dolcezza, e poi restano lì, a fare rumore anche dopo l’ultima pagina.
Hamartía è tutto questo: intimo, intenso, poetico, coraggioso.
Rossana Soldano ha avuto l’audacia, rara e preziosa, di scegliere un punto di vista scomodo, fragile, profondamente umano: quello di Lucas, protagonista e voce narrante di questo romanzo ambientato nella Roma di fine anni Sessanta. Un’epoca di transizione, di lotte interiori e sociali, di trasformazioni silenziose e urla soffocate. Un periodo storico che l’autrice non si limita a ricostruire, ma fa rivivere, attraverso dettagli, atmosfera, odori, silenzi e dialoghi che sanno di verità.
Lucas è un personaggio conflittuale, contraddittorio, struggente, eppure mai respingente. La sua voce è un flusso interiore che oscilla tra malinconia e lucidità, paura e desiderio, razionalità e istinto. La sua prospettiva, così intima e tormentata, non è facile da accogliere. Non perché manchi di bellezza o intensità, ma perché ci costringe a fare i conti con ciò che di solito teniamo nascosto: le nostre ombre, le parti fragili, le ambiguità che la società ci insegna a negare.
Ed è proprio questo il coraggio di Hamartía: scegliere il lato più umano, quello imperfetto, quello che sbaglia, che inciampa, che si fa domande scomode.
È un romanzo che non ha paura di rallentare. Si prende il suo tempo — con rispetto, con cura — per far evolvere ogni dinamica, per permettere ai personaggi di respirare. In un’epoca narrativa che spesso punta tutto sul ritmo e sull’azione, Rossana Soldano ci restituisce la bellezza dell’attesa, della costruzione lenta ma profonda dei legami. Lucas e Cristiano non si incontrano: si scoprono. E nel farlo, scoprono se stessi.
Il loro rapporto è la spina dorsale del romanzo, ed è tutto fuorché semplice. È fatto di tensione, attrazione trattenuta, di silenzi pesanti e gesti che valgono più di mille parole. Eppure, c’è una delicatezza rara nel modo in cui l’autrice descrive questa passione: sensuale e intensa, ma mai esplicita, mai gridata. C’è desiderio, sì, ma filtrato attraverso la psiche e l’anima dei protagonisti, più che attraverso la loro fisicità. E questo, oggi, è un atto di finezza narrativa che merita di essere sottolineato.
Accanto ai due protagonisti troviamo un coro di personaggi secondari ricchi di sfumature, mai sacrificati a comparse. Ognuno ha una voce, un carattere, una funzione narrativa e simbolica. Ognuno di loro porta dentro il peso del proprio tempo, dei propri limiti, delle proprie scelte. Ed è impossibile non amarli, anche quando sbagliano, anche quando fanno male. Perché sono vivi, tridimensionali, umani fino all’osso.
Un altro protagonista silenzioso, ma potentissimo, è la Roma di quegli anni: maestosa, decadente, quasi mitologica. Non è solo uno sfondo, ma una presenza viva che accompagna la narrazione. Si insinua tra i vicoli, nei tramonti sul Tevere, negli angoli nascosti lontani dal turismo di massa. È una città che, come i protagonisti, sta cercando se stessa, sospesa tra bellezza e rovina.
La scrittura di Rossana Soldano è di una bellezza disarmante. Elegante, poetica, ma mai pretenziosa. Riesce ad essere emozionante senza diventare mai retorica. Ogni parola è scelta con cura, ogni frase sembra suonare come una nota precisa in una melodia malinconica e profonda. Ci sono pagine che sembrano poesia, e altre che trafiggono come lame affilate. Ma in tutte, si sente la verità del sentire umano. E poi c’è quel titolo: Hamartía, la “colpa tragica”, l’errore fatale, la frattura che cambia il corso della vita. Ma qui, l’hamartía non è una colpa da espiare. È una ferita da attraversare, un invito a guardare in faccia le proprie debolezze e accettarle. A non negarsi l’amore, anche quando non segue le strade convenzionali. A non respingere la luce, solo perché si ha paura del proprio buio.
Hamartía è un romanzo che non si dimentica. Non è un libro da leggere con leggerezza, ma uno da portare con sé, da sentire dentro, da lasciar decantare.
È coraggioso, delicato, destabilizzante e profondamente umano. È il tipo di libro che ti fa crescere mentre lo leggi. Che ti spinge a guardarti dentro, a chiederti chi sei, cosa desideri davvero, e cosa sei disposto a perdere o a rischiare pur di essere te stesso.
Non capita spesso di imbattersi in storie così autentiche, scritte con l’anima e non solo con la penna.
Rossana Soldano ha donato al lettore un romanzo potente e necessario.
Un romanzo che, senza urlare, riesce a dire tutto.



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